lunedì 9 giugno 2008

“Come le mosche d’autunno” di Irène Némirovsky, Adelphi - Milano 2007

In questo racconto lungo la Némirovsky affronta il tema, certamente autobiografico, dello sradicamento dell’essere umano dalla sua terra d’origine e dalla sua origine, e del violento trapianto in un altro luogo. È il caso di una benestante famiglia russa, i Karin, che allo scoppio della rivoluzione bolscevica si trasferisce in Francia. Con essi è Tatjana Ivanovna, la vecchia nutrice, la vera protagonista del racconto perché custode della memoria di quella famiglia e della sua identità. È lei che da almeno tre generazioni conserva i segreti, i gesti, i sentimenti, gli eventi di quella comunità. È lei che vede uccidere uno di loro in nome del nuovo ordine rivoluzionario. È lei che custodisce la casa dopo la fuga dei Karin ad Odessa, in luoghi più sicuri. È lei a raccogliere gli ori di famiglia e consegnarli ai suoi padroni perchè tutti si trasferiscano in Francia. È lei che a Parigi, nel nuovo mondo, li vede malinconicamente senza radici e memoria, proprio Come le mosche d’autunno che sbattono contro i vetri delle case volteggiando con le ali incerte, prossime ormai alla fine.
Ma mentre i Karin, come molti altri esuli russi, si adattano a quel mondo diverso, cercando in ogni modo di ricostruirsi una vita, Tatjana Ivanovna no. Al contrario dei nobili che si improvvisano borghesi, lei, contadina, legata alla terra, avverte in questo cedimento una morte dell’anima, alla quale non sa rassegnarsi. Le mancano le cose elementari, quelle con le quali è cresciuta, si è formata la sua esistenza: la neve per esempio, il bisogno di vedere il paesaggio entro il quale è trascorsa la vita, di respirare l’aria della sua terra, di contemplarne il cielo, di sentire il calore della stufa così diverso da quello dei caloriferi che non hanno nessun rapporto diretto col fuoco. Ma Tatjana Ivanovna avverte che in quella casa è diventata un peso, senza più quel ruolo, che faceva di lei il centro vitale della famiglia, si sente persa, disorientata. La memoria che stentatamente cerca di rievocare nei Kalin, non trova corrispondenze, sembra per loro un fardello di cui liberarsi al più presto. E questa lontananza dalla terra d’origine, unitamente al distacco dal mondo affettivo dei Karin, le fanno immaginare, proprio il giorno di Natale, quando gli altri sono altrove a festeggiare, che quella nebbia che avvolge la città sia la neve tanto attesa come quella di Sucharevo e la Senna, dove incautamente s’avventura, sia una distesa ghiacciata al di là della quale c’è la sua Karinovka.
È un piccolo capolavoro per chi si lascia affascinare dalla forza vitale della memoria anche se dolorosa ed anche per chi è amante di quel nomadismo che per destino gli scrittori di origine ebrea interpretano così profondamente. È quel nomadismo che non ti fa sentire mai a casa tua, una specie di estraneità al mondo in cui si vive per riandare alle origini, in cammino verso là dove pensiamo di incontrare l’essere umano. Come le mosche d’autunno è un racconto che raccomando di leggere anche per la qualità della scrittura asciutta, essenziale, che non cede mai al superfluo, ma non per questo meno capace di riprodurre atmosfere, ambienti, riflessioni. Un ottimo avvio alla lettura di Suite francese che è il vero capolavoro della Némirovsky.

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