Quando si scrive di scuola e delle carenze vistose che contraddistinguono l’istituzione per eccellenza deputata alla formazione delle nuove generazioni si corre il rischio di due eccessi: la generalizzazione dei problemi che escludono la fattispecie in cui quell’insegnante e quegli studenti si trovano, e la singolarità delle esperienze, penso ad esempio, alla scuola di Barbiana di Don Milani, o all’esperienza di Albino Bernardini raccolta in Un anno a Pietralata, che proprio perché particolari, sono irripetibili, e difficilmente raggiungono il livello della generalità. Diario di scuola è un’opera che si muove entro questi due confini: per un verso essa è la declinazione al singolare dell’esperienza scolastica prima dello studente e poi dell’insegnante Daniel Pennac, per l’altro via via che si va verso la conclusione la singolarità si coniuga con la riflessione più generale, e coinvolge le macrostrutture sociali, culturali (molto efficace ad esempio è l’analisi dello studente cliente) entro le quali la scuola (insegnanti, studenti e famiglie) viene ad operare.
Pennac ripercorre in questo diario il proprio itinerario scolastico secondo la duplice prospettiva dello studente prima somaro e poi recuperato, e quindi di insegnante che di proposito sceglie di dedicarsi al recupero alla dignità di persone e di studenti dei tanti somari, in gran parte coincidenti con i bulli, con i fascisti dell’ignoranza, che popolano le cronache scolastiche di oggi. È un percorso iniziato nell’infanzia quando lui nato da una famiglia benestante, ultimo di quattro fratelli laureati a pieni voti e figlio di professionisti, si scopre presto refrattario alla conoscenza, all’assimilazione dei concetti, alla memorizzazione. Scopre il suo senso di impotenza e inadeguatezza, al quale sopperisce con incredibili e sfacciate bugie dette alla famiglia e agli insegnanti, in una spirale da cui spesso si esce solo con l’abbandono scolastico. A meno di non incontrare un insegnante capace di salvarlo dalla condizione di ignorante impenitente. Un insegnante di francese (il nostro insegnante di Lettere) che, di fronte alla nullità del rendimento scolastico e alla sua capacità inesauribile di inventare scuse fantasiose, addotte a giustificare la propria somaraggine, lo impegna a scrivere racconti, a dare sfogo alla sua abilità ad inventare storie. E poi l’incontro con l’amore che agita l’anima e il corpo dell’adolescente. L’amore infatti implica la scoperta del valore di sé agli occhi dell’altro. Esso avvia quell’autostima senza la quale è impossibile qualsiasi riscatto. Così la metamorfosi da somaro a somaro redento è affidata alla scoperta della scrittura come vocazione, come bisogno di dare corpo al pensiero ed alla fantasia, e a quella dell’amore che ti pone di fronte all’altro, al tu che spezza definitivamente il muro entro cui è confinata la solitudine del somaro.
Esperienza drammatica quella dell’insuccesso scolastico che lascia i suoi segni, ma che fa nascere anche la consapevolezza che la somaraggine non è un destino ineludibile, essa è una condizione dalla quale è possibile uscire se solo si ha la fortuna di incontrare l’insegnante giusto. Questa idea, della possibile sconfitta della così detta somaraggine, diviene lo scopo di una missione: salvare il più possibile i ragazzi votati alla morte scolastica. Missione che finalizza la vita di Pennac ad insegnare ad imparare e, dove possibile, a far sì che chi impara possa a sua volta insegnare, diventare lui stesso maestro accogliendo il testimone di una corsa senza fine contro il pregiudizio scolastico.
Tutte le missioni sono fondate sull’amore gratuito di quello che si fa. Ed è la prima cosa che gli studenti di una classe percepiscono di te insegnante. Se sei o meno innamorato del tuo lavoro. Se sei lì davanti a loro perché docente investito di un ruolo, di una funzione, di un’autorità e quindi di un potere, o se invece ti appassioni a quello che dici, se stai trasmettendo non una materia scolastica, ma una parte di te, di come tu intendi quel tuo sapere. Essi si abituano a vedere con i tuoi occhi, ad ascoltare con i tuoi orecchi, a comprendere con la tua intelligenza. Essi sono dotati di quella sensibilità coinvolgente che li impegna a restituire in proporzione di quanto è stato loro donato. È questa originaria e imprescindibile passione che fa di un professore un insegnante, di un docente un maestro. Maestro ed allievo sono i due termini più propri ad indicare il complesso fenomeno dell’educazione scolastica. Maestro, dal latino magister, ha in sé la radice magis, che significa un di più, nel senso doppio in riferimento sia alla persona, cioè a colui che è di più rispetto all’allievo, sia al suo fare, al suo far crescere, ad-levare, cioè portare in alto chi ha bisogno di essere aiutato ad essere sollevato. Maestro è assai più di insegnante, di chi cioè mette solo il segno del sapere, in-signa, in un altro. L’insegnante può anche insegnare bene, ma non è detto che il suo insegnamento costituisca sempre e comunque una crescita formativa dello studente. Maestro va sicuramente oltre la funzione, direi giuridica, istituzionale, del docente che ha dinnanzi a sé il discente, titolare dell’altra funzione, quella di imparare. Per non parlare del professore, di chi pro, apertamente, fiteor, fessus, fiteri dichiara, annuncia, di colui che davanti agli scolari, semplici frequentanti della schola, annuncia un sapere, una verità, che va depositata, conservata, riferita, mai discussa perché ex cathedra.
Concludo, anche se il libro di Pennac stimola molte altre riflessioni, con l'augurio che il ministero della pubblica istruzione abbia il coraggio di farne dono al suo quasi milione di professori affinché leggendolo possano provare a diventare anche maestri.
Pennac ripercorre in questo diario il proprio itinerario scolastico secondo la duplice prospettiva dello studente prima somaro e poi recuperato, e quindi di insegnante che di proposito sceglie di dedicarsi al recupero alla dignità di persone e di studenti dei tanti somari, in gran parte coincidenti con i bulli, con i fascisti dell’ignoranza, che popolano le cronache scolastiche di oggi. È un percorso iniziato nell’infanzia quando lui nato da una famiglia benestante, ultimo di quattro fratelli laureati a pieni voti e figlio di professionisti, si scopre presto refrattario alla conoscenza, all’assimilazione dei concetti, alla memorizzazione. Scopre il suo senso di impotenza e inadeguatezza, al quale sopperisce con incredibili e sfacciate bugie dette alla famiglia e agli insegnanti, in una spirale da cui spesso si esce solo con l’abbandono scolastico. A meno di non incontrare un insegnante capace di salvarlo dalla condizione di ignorante impenitente. Un insegnante di francese (il nostro insegnante di Lettere) che, di fronte alla nullità del rendimento scolastico e alla sua capacità inesauribile di inventare scuse fantasiose, addotte a giustificare la propria somaraggine, lo impegna a scrivere racconti, a dare sfogo alla sua abilità ad inventare storie. E poi l’incontro con l’amore che agita l’anima e il corpo dell’adolescente. L’amore infatti implica la scoperta del valore di sé agli occhi dell’altro. Esso avvia quell’autostima senza la quale è impossibile qualsiasi riscatto. Così la metamorfosi da somaro a somaro redento è affidata alla scoperta della scrittura come vocazione, come bisogno di dare corpo al pensiero ed alla fantasia, e a quella dell’amore che ti pone di fronte all’altro, al tu che spezza definitivamente il muro entro cui è confinata la solitudine del somaro.
Esperienza drammatica quella dell’insuccesso scolastico che lascia i suoi segni, ma che fa nascere anche la consapevolezza che la somaraggine non è un destino ineludibile, essa è una condizione dalla quale è possibile uscire se solo si ha la fortuna di incontrare l’insegnante giusto. Questa idea, della possibile sconfitta della così detta somaraggine, diviene lo scopo di una missione: salvare il più possibile i ragazzi votati alla morte scolastica. Missione che finalizza la vita di Pennac ad insegnare ad imparare e, dove possibile, a far sì che chi impara possa a sua volta insegnare, diventare lui stesso maestro accogliendo il testimone di una corsa senza fine contro il pregiudizio scolastico.
Tutte le missioni sono fondate sull’amore gratuito di quello che si fa. Ed è la prima cosa che gli studenti di una classe percepiscono di te insegnante. Se sei o meno innamorato del tuo lavoro. Se sei lì davanti a loro perché docente investito di un ruolo, di una funzione, di un’autorità e quindi di un potere, o se invece ti appassioni a quello che dici, se stai trasmettendo non una materia scolastica, ma una parte di te, di come tu intendi quel tuo sapere. Essi si abituano a vedere con i tuoi occhi, ad ascoltare con i tuoi orecchi, a comprendere con la tua intelligenza. Essi sono dotati di quella sensibilità coinvolgente che li impegna a restituire in proporzione di quanto è stato loro donato. È questa originaria e imprescindibile passione che fa di un professore un insegnante, di un docente un maestro. Maestro ed allievo sono i due termini più propri ad indicare il complesso fenomeno dell’educazione scolastica. Maestro, dal latino magister, ha in sé la radice magis, che significa un di più, nel senso doppio in riferimento sia alla persona, cioè a colui che è di più rispetto all’allievo, sia al suo fare, al suo far crescere, ad-levare, cioè portare in alto chi ha bisogno di essere aiutato ad essere sollevato. Maestro è assai più di insegnante, di chi cioè mette solo il segno del sapere, in-signa, in un altro. L’insegnante può anche insegnare bene, ma non è detto che il suo insegnamento costituisca sempre e comunque una crescita formativa dello studente. Maestro va sicuramente oltre la funzione, direi giuridica, istituzionale, del docente che ha dinnanzi a sé il discente, titolare dell’altra funzione, quella di imparare. Per non parlare del professore, di chi pro, apertamente, fiteor, fessus, fiteri dichiara, annuncia, di colui che davanti agli scolari, semplici frequentanti della schola, annuncia un sapere, una verità, che va depositata, conservata, riferita, mai discussa perché ex cathedra.
Concludo, anche se il libro di Pennac stimola molte altre riflessioni, con l'augurio che il ministero della pubblica istruzione abbia il coraggio di farne dono al suo quasi milione di professori affinché leggendolo possano provare a diventare anche maestri.
Nessun commento:
Posta un commento